"Per quanto tempo dovrò venire?"
Molto spesso, quando incontro nel mio studio una persona per la prima volta, durante il colloquio mi sento chiedere di poter avere indicazioni circa la durata del percorso terapeutico che affronteremo insieme, domanda che, posta in altri termini, sollecita l'interrogativo del quando la persona ricomincerà a "stare bene".
La risposta più onesta a questa domanda è che non è possibile stabilire a priori la durata del lavoro clinico in quanto questa è strettamente connessa a un fitto intreccio di fattori diversi, quali la complessità e la gravità del problema, la motivazione, le resistenze della persona al cambiamento, il suo contesto ambientale e familiare, il raggiungimento degli obiettivi terapeutici, l'intesa che si crea tra paziente e terapeuta.
Inoltre il lavoro psicoterapeutico non segue una progressione lineare ma segue il tempo soggettivo della persona: nonostante tenda progressivamente al miglioramento del quadro psicologico, può molto spesso caratterizzarsi da momenti di stallo alternati a momenti di rapido avanzamento o anche di temporanea regressione, in una logica circolare.
Nella mia concezione della cura, la fine di un percorso terapeutico non viene predefinita o prescritta a priori dal terapeuta, ma prende piuttosto forma e si sviluppa nella processualità della relazione terapeutica, nella dialettica tra quel paziente e quel terapeuta.
Nell'immaginario collettivo la psicoterapia psicoanalitica viene ancora erroneamente associata a un percorso di cura interminabile e il timore diffuso di chi pensa di intraprendere un lavoro terapeutico è di doverci restare necessariamente imbrigliato per anni. In realtà oggi la psicoanalisi contemporanea apre a scenari molto diversi e distanti da quelli storicamente associati al paradigma psicoanalitico classico, e grande rilevanza viene data alla possibilità di lavorare sul qui ed ora della relazione tra paziente e terapeuta come strumento di osservazione, elaborazione e cura.
"Come funziona la psicoterapia psicoanalitica?"
La terapia psicoanalitica opera nel profondo, intervenendo sulla personalità del paziente nella sua globalità, cercando di favorire la comprensione dei meccanismi inconsci disfunzionali che hanno portato alla formazione di "quel" determinato sintomo e di capire quale significato specifico quel sintomo assume per "quella" persona, all'interno del suo mondo soggettivo e a partire dalla sua irripetibile storia di vita.
Il cambiamento cui si aspira con la terapia psicoanalitica è profondo e permette risultati più durevoli nel tempo rispetto a quelli che si possono raggiungere con un approccio terapeutico che lavora solo in superficie e si concentra unicamente sulla scomparsa del sintomo.
Nel mio approccio alla psicoterapia (orientamento psicoanalitico relazionale) grande importanza riveste il legame che viene a crearsi tra terapeuta e paziente e la possibilità di lavorare sul "qui ed ora" della relazione allo scopo di permettere alla persona del paziente una maggiore comprensione dei vecchi schemi disfunzionali che influenzano la sua vita e di favorire un cambiamento positivo.
L'assunto è che nella relazione terapeutica vengano riattivati i modi caratteristici della persona di vivere le relazioni significative e di organizzare l'esperienza, compresi quelli più disadattivi e fonte di sofferenza, che rappresentano il motivo per cui è lì.
In questa ottica relazionale, nella vicenda intersoggettiva che si snoda tra paziente e terapeuta, diventa determinante anche la persona reale del terapeuta, la sua competenza di sè e la sua capacità di entrare in contatto, oltre che con la soggettività della persona che gli chiede aiuto, anche con se stesso per riconoscere e governare i propri sentimenti, conflitti, emozioni.
“Come descriveresti il mestiere del terapeuta?”
Quello del terapeuta è un lavoro appassionante e unico, difficile da mettere in parola, a mio avviso il più bello del mondo.
E' un mestiere intriso di amore, che si sceglie, non ci si arriva per caso.
Io ci trovo dentro tutto: il dolore, la fatica, la trasformazione, il desiderio di salute e la voglia di rinascere.
Bussare alla porta di uno psicologo è primariamente un atto di salute che sa di vita che si apre, di desiderio a realizzare un cambiamento. Porta con sé la volontà e l'intuizione di andare oltre la sofferenza del momento e di non rassegnarsi a subirla, chiama in causa la possibilità di intravvedere uno spiraglio di guarigione e di benessere.
Nel lavoro terapeutico ho la fortuna di assistere, dalla posizione privilegiata del mio ruolo, a questa "seconda nascita", incontrando autenticamente la persona del paziente e facendomi custode della sua storia, aiutandola a comprendere e a sciogliere i suoi nodi e accompagnandola nel suo personale e unico cammino alla ricerca di sé.
Amo il mio lavoro perché ogni incontro terapeutico mi arricchisce, lasciandomi sempre qualche cosa e testimoniandomi la bellezza e la possibilità della cura di sè e della ricerca della salute.